I SanMarchini raccontano

Maratona di Reggio Emilia

Reggio Emilia, l’essenza della Maratona

di Gianni Colombo

La Maratona, dicono, è un mix di sofferenza e gioia. La sofferenza è più prolungata, aumenta con il passare dei km, e ti presenta il conto negli ultimi 10. La gioia è intensa, forte, al momento in cui si taglia il traguardo e ti metti al collo la tanto agognata medaglia. E quando percorri il tratto che dal ristoro va verso gli spogliatoi (nel caso di Reggio, il Palazzetto), deambulando a fatica, ti ritornano in mente tutti i momenti più belli ma anche quelli più duri dei 42195 mt che hai corso. Io ne ho uno in particolare, ma andiamo con ordine.
4.15 suona la sveglia. “Prima e ultima volta che fai sta levataccia per andare a correre una maratona” è il mio primo pensiero. Qualche dubbio su cosa mangiare a colazione, più che altro la quantità. Mi preparo e attendo il messaggio di Michele, che puntualmente alle 5 passa a prendermi. “Andiamo a divertirci” mi dice. Si parte.
Sosta all’autogrill per un caffè, e alle 7.15 siamo parcheggiati di fianco al camper di Lallo. Ci consegna il pettorale e il pesante pacco gara (Lambrusco e aceto balsamico di Modena). Io e Michele ci avviamo al palazzetto. Giornata fredda, ma cielo terso: cominciamo a discutere su come vestirci.
Fatte le nostre scelte (opto per termica, maglia maniche corte e canotta sociale) guanti e cappello non mancano. Lallo ci raggiunge: foto di rito prima della partenza, foto anche con Salvatore Alesa, alla sua ennesima maratona.
Si esce, breve riscaldamento, entrata in griglia. Salutiamo la famiglia di Lallo, che ci augura in bocca al lupo. Ci siamo, ormai.
Passa il tricolore sopra le nostre teste: “oh, dai Lallo” – “Dai Gianni, forza”. Bum, si parte! Daicandom, come dicono a Reggio.
Prima parte con imbottigliamento dopo neanche 500 mt – “se non facciamo il personale colpa di questo rallentamento qui” , dico a Lallo. Poi, lentamente, prendiamo il ritmo, primi 5 km un po’ allegri e siamo già più veloci della media prestabilita – 5’40 – per provare a scendere sotto le 4h. Sorpassiamo una bella Babba Natale, sguardo d’intesa tra me e Lallo. Lo spirito è quello giusto.
Passiamo sul traguardo e usciamo dalla città. I km passano veloci, arriviamo al 10 km senza quasi accorgerci. Sto abbastanza bene, non proprio benissimo, cerco di ascoltare il corpo e di andare via il più sciolto possibile; Lallo è davanti a me a fare l’andatura.
Il ristoro solitario di un fenomeno a torso nudo al 15 km con un tavolo pieno di bottiglie di alcool che si svuoteranno al ritorno (ripassiamo di lì al 33 km) ; il “cinque volante” dato alla medaglia d’oro Olimpica di Seul 1988, il mitico Gelindo Bordin; un runner in abito e crocs che ci passa con agilità alla mezza: ecco alcuni dei momenti significativi di questi primi 21 km. Poco tifo,  ma anche poco da vedere: la giornata è bella e il sole comincia a scaldare:dopo il secondo gel, via guanti e cappello.
Arriva il momento più duro di questa Maratona, dal 23 km, la strada comincia a salire, chiaramente la media si alza, ma io e Lallo teniamo duro. In cima al 25 km, ristoro e un po’ di tifo: “Daicandom!” e noi andiamo. Passaggi regolari, ma ora si fa dura. Un continuo saliscendi, più sali che scendi… “Ma non doveva essere tutta discesa dopo il 28 km?” – chiede Lallo – “Così mi avevano detto” – rispondo a Lallo  affaticato.
31 km. “Basta con ste c#@@o di salite”, mi spazientisco perché comincio a soffrire. “La senti? Senti la voce di Marta che comincia a dirci di non mollare?” “Eccome no” – risponde Lallo.
Ma un km dopo, la voce di Marta la sento davvero! 32 km in cima ad un’ altra salitella che mi sta spaccando le gambe. Lallo, davanti a me, mi fa ampi cenni verso sinistra. C’è una stradina e penso (tengo da conto il fiato perché si fa dura): “cosa fa, vorrà mica ritirarsi?” Poi sento un “Giaaaaannnnnniiiiii! “: non è un incubo, è proprio Marta, che ci aspetta in cima al 32 km vestita di rosso, con le scarpette, pronta ad accompagnarci per gli ultimi 10. 
Ma io sono in riserva. I saliscendi mi hanno stroncato, Lallo mi stacca piano piano e io comincio a sentire le gambe di ghisa, e qualche dolore di troppo. Marta mi incita in continuazione “Dai, non mollare, tieni duro, forza Gianni”, mi prende l’acqua ai ristori.
35 km. Ultima “asperità”: un cavalcavia che grazie a Dio possiamo affrontare anche dal lato ciclabile, con pendenze meno forti. È il momento di correre di testa, di tener duro. Faccio continui calcoli ad ogni km per verificare il tempo di arrivo. Purtroppo l’obbiettivo primario è sfumato, cerco allora di migliorare il mio personale. Ma non è facile, percorro un km a 6’59 e ho stilettate di fianco alla rotula destra che quasi mi costringono a zoppicare. Marta è sempre di fianco a me, mentre Lallo fa l’elastico: a volte lo perdo di vista, a volte lo ritrovo poco davanti, anche lui in sofferenza.
40 km… Ne mancano solo due e riesco nel lungo rettilineo che ci porta verso l’arrivo a riprendere un passo meno lento. Ho molta sete, il ristoro è provvidenziale. Un compagno di squadra, mi affianca: mano sulla spalla e un incitamento ad andare avanti insieme verso l’arrivo. Grazie, ci proviamo, gli rispondo con il poco fiato e la scarsa lucidità che mi rimangono.
Continuo con i calcoli, non devo mollare se voglio arrivare al personale. Le transenne mi  fanno presagire l’inizio del rettilineo finale, Marta mi lancia l’ultimo incitamento prima di uscire a lato del traguardo: non mollo, metto quel poco che mi rimane negli ultimi 200 mt e almeno il personale arriva: 4.09.11 dirà il cronometraggio ufficiale.
Mi avvio piano piano al ritiro medaglia, con grande soddisfazione. Nonostante la grossa sofferenza degli ultimi 7 km, non potevo mollare e fermarmi, anche se avrei voluto. Senza Marta probabilmente avrei camminato, ma non potevo fermarmi, non potevo arrendermi.

Rivedo Marta, un grande abbraccio e un enorme grazie. E Lallo, che ha concluso 2 minuti prima di me la sua prima maratona. Un bel cinque e un sonoro “Grande!” sono i nostri primi gesti.  Ci diamo appuntamento al camper di Lallo per una bella spaghettata in compagnia. Io intanto vado al palazzetto a recuperare la borsa e Michele, che ha concluso la sua fatica in 3h40, nonostante un dolore al polpaccio. L’umore cambia, si ride, si scherza, specie sulle difficoltà di deambulazione.
Concludiamo la giornata con la spaghettata sul camper di Lallo con Marta, Marco, Michele e tutta la famiglia di Lallo. Siamo tutti comunque soddisfatti e tutti convinti che Reggio Emilia non sia poi così piatta come la descrivono.
Si riparte verso casa dopo aver ringraziato tutti, Lallo e tutta la sua famiglia per la disponibilità, la simpatia e il reintegro carboidrati, Marta e Marco per l’assistenza durante la gara e per le birre fine gara.
Durante il viaggio di ritorno mi vengono in mente tutti i compagni di lunghi (Faust, Caccia e Federico su tutti), le amiche e gli amici alcoolici e tutti coloro che mi hanno incitato per portare al termine questa sfida. E, ovviamente, la mia famiglia che mi ha sopportato durante questi mesi di preparazione dura. 


Doveva essere la penultima maratona (l’ultima me la vorrei regalare per i miei 50 anni). Ieri  ne ero convinto, oggi già molto meno. O forse già ieri, al 32 km, stavo già cambiando idea…